SPACE ODDITY (1969)

David Bowie Space oddity

Tutti i brani sono scritti da David Bowie

Data di Uscita

4 Novembre 1969

Registrato

Trident Studios, Londra

Produzione

Tony Visconti (eccetto "Space Oddity", prodotta da Gus Dudgeon)

Recensione

L’affermazione può non essere corretta dal punto di vista cronologico e discografico, ma si può comunque asserire che tutto iniziò da questo disco: non un’opera prima, ma prima opera consapevole, convinta e nata sulla spinta di una maggiore profondità di vedute e di intenti. 

La frequentazione di una persona colta come Ken Pitt, le esperienze con Lindsay Kemp e l’immersione nel ricco panorama musicale londinese, portano Bowie, in questa fase, ad approfondire nuovi interessi. Viene gradualmente lasciato da parte il gusto bozzettistico in favore di un più complesso stile narrativo (Cygnet Committee Unwashed And Somewhat Slightly Dazed). Noto sotto più titoli – “David Bowie”, “Man of Words, Man of Music” – il disco è comunque ancora piuttosto sfaccettato e non indirizzato artisticamente verso un unico stile o filone: il giovane Bowie rinuncia agli aspetti da vaudeville del “periodo Deram” ma ama ancora perdersi tra favole (Wild Eyed Boy From Freecloud ), sogni (An Occasional Dream) e proteste (God Knows I’m Good). 

La produzione musicale si fa più intensa, corposa, attuale e le firme sul retro di copertina – per dirla come ai tempi del vinile – sono chiarificatrici in questo senso: Visconti, Buckmaster, Gus Dudgeon. Al disco partecipano inoltre musicisti destinati ad importanti carriere, come Wakeman e Flowers. Non fa meraviglia quindi che ancor oggi questi brani riescano a comunicare entusiasmo (Memory Of A Free Festival), voglia di raccontare (Janine, God Knows I’m good ) e di raccontarsi (Letter to Hermione). Nei testi gli influssi oscillano tra Oscar Wilde (Wild Eyed Boy… ) e Bob Dylan (Unwashed…). 

Il giovane Bowie, in questa prima proposta artistica definitiva, si mostra curioso verso l’esterno e stranamente esplicito nell’affermare le sue prese di posizione (Cygnet Committee) al limite dell’invettiva. Quanto a Space Oddity, l’epico brano che dal ’72 dà il titolo all’album, si pone nella dimensione di favola moderna e anticipa le tematiche del solipsismo e della fuga dalla realtà tipiche degli anni più maturi di Bowie. La genesi del brano è nota: Kubrick, aspetti visionari di tipo lisergico, il rock progressivo con le sue sonorità evocative, le imprese spaziali. 

La storia di Major Tom, pur se raccontata con qualche ingenuità, è entrata di diritto nell’olimpo della musica e gode di una copiosa letteratura, divenendo a sua volta fonte di ispirazione. È un brano che riesce ancora a dimostrare una sua potente modernità, cosa che non sempre si può dire per il resto del disco. L’album nel suo complesso risulta oggi un’opera che ha in sé la disomogeneità tipica della gioventù: è lo sguardo critico di chi, fra curiosità, fantasia e affermazioni perentorie, sta affinando le sue conoscenze. 

È un disco bello e imperfetto e proprio per questo estremamente interessante e sincero, laddove l’imperfezione e lo scarto alla norma sono il segnale di una volontà artistica forte, già connotata e emblematicamente in cammino.

 

di Pierluigi Buda – Heathen958

 

Musicisti

David Bowie
(voce, chitarra a 12 corde, stilofono, kalimba)

Keith Christmas
(chitarra)

Mick Wayne
(chitarra)


Tim Renwick
(chitarra, flauto)
Tony Visconti
(basso, flauto)
Herbie Flowers
(basso)
John Lodge
(basso)
John Cambridge
(batteria)
Terry Cox
(batteria)
Rick Wakeman
(mellotron, cembalo elettrico)
Paul Buckmaster
(violoncello)
Benny Marshall
(armonica)

Crediti

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