In occasione dell’uscita di Lodger una lunga intervista di Aldo Bagli per Ciao2001.
David Bowie a Roma – Intervista fiume di Aldo Bagli, Ciao 2001, maggio 1979
Per Lodger era previsto un massiccio intervento promozionale di dimensioni mondiali che sarebbe dovuto scattare con buone probabilità alla fine di maggio. E come quando uscì Heroes, Bowie avrebbe dovuto girare il mondo in lungo e in largo concedendo interviste, rendendosi protagonista di apparizioni televisive e scandalizzando qualche giornalista per bene circa le sue abitudini sessuali. Ma questa volta David non se la è sentita ed all’ultimi momento ha annullato tutto il piano, gettando nella disperazione i dirigenti della sua casa discografica che avevano lavorato attorno al progetto per più di due mesi. A noi italiani comunque è andata bene: per ragioni che ancora rimangono avvolte nel mistero, l’artista è venuto a Roma per circa tre giorni proprio alla fine di giugno, e pur evitando con cura ogni canale promozionale, si è voluto incontrare con noi per una lunga intervista che ha avuto luogo in uno dei più bei ristoranti di Roma, durante una afosissima serata di inizio estate. Intorno a David c’era la sua consueta corte da viaggio, formata da due nerboruti gorilla, un truccatore personale e il suo nuovo manager, un ragazzo americano di poco più di ventitré anni. Per fortuna nostra la chiacchierata ha avuto una dinamica face to face, senza troppi intermediari di mezzo (italiani compresi).
PROMOTION – FOBIA
Ciao2001: Come mai ti è scoppiata all’improvviso la promoton-fobia?
BOWIE: Non userei proprio questo termine. Nei confronti di quelle cose ho sempre mantenuto un atteggiamento neutrale, considerevole al massimo come degli impegni necessari al mio lavoro di musicista. Questa volta però sono voluto andare contro la logica voluta dal mercato: infatti Lodger non sarà accompagnato, nel suo uscire nei negozi, da rumorosi squilli di tromba; al massimo, dove e quando si verranno a creare le condizioni ottimali avrò con degli amici delle chiacchiere informali, ma non andrò proprio oltre questa piacevole dimensione artigianale. E’ giunto per me il tempo del ritiro dietro le quinte
2001: Cosa vuol dire questo: per caso stai annunciando in forma implicita un tuo prossimo ritiro dalle scene?
BOWIE: Non esattamente. Ti ho detto in passato che considero David Bowie una specie di pellicola per macchine fotografiche, e quindi un qualcosa di molto sensibili, strutturata proprio per recepire dall’esterno il maggior numero di particolari cromatici. Questo mio modo di esistere, ha però delle controindicazioni: ad esempio mi posso troppo impressionare, con il rischio reale di risultare poi in sede di sviluppo completamente insensibile agli stimoli chimici. Detto in altri termini questo significa che spesso, per il troppo essere alla luce del giorno ho passato delle grandi crisi creative. Esperienze del genere turbano decisamente il mio normale funzionamento, e ciò scatena in me dei sentimenti non troppo piacevoli. Per queste ragioni ho deciso di evitare, quando è possibile, la luce dei riflettori, preferendo ad essa l’intimità e la solitudine dl retropalco. Bada bene ho usato il termine retropalco non casualmente. Mi spiego: avrò sempre in futuro un rapporto con la scena, con la finzione voluta, ma avrà luogo con David Bowie in una posizione strategica completamente diversa. Non sarò più tanto osservabile, una persona di pubblico dominio, a totale disposizione delle esigenze sfrenate delle macchina e del grande edificio
2001: Vorrei rivolgerti una domanda più strettamente legata al tuo presente. Per usare una terminologia a te gradita: cosa si può osservare dietro le quinte del tuo nuovo album?
BOWIE: Quello che vuoi, oppure quello che voglio, non fa molta differenza. Come di solito sono per natura interessato ai cambiamenti ed è di questi che parlerò. Vedi quando si lavora in America o nella stessa Berlino avevamo sempre l’abitudine di portare con noi qualcosa di già definito negli studi. E su questo fatto mi sono trovato a riflettere a lungo proprio nel periodo del mio ultimo tour. Alla fine sono arrivato alla conclusione che quella consuetudine altro non significa che una paura inconscia del futuro, dell’ipotetico momento creativo nel quale devi creare a tutti i costi. In fondo il discorso suonava più o meno così: ” E’ meglio portarsi qualcosa di già pronto, in caso lì dentro non si riuscisse a tirare fuori un bel niente”. Con Lodger ho voluto vincere questo deprecabile ragionamento e sono entrato negli studi svizzeri senza avere in mente neppure una melodia. All’inizio mi ha fatto compagnia il solo Brian Eno, con il quale sono rimasto chiuso dentro gli studi per un brevissimo periodo.
2001: E cosa è accaduto?
BOWIE: Abbiamo conseguito dei risultati che mi hanno addirittura sorpreso. Pensa, abbiamo scritto tutto il materiale che compare nell’album in sette giorni precisi. E ti posso assicurare che non abbiamo fatto le corse. Ho capito perciò che soltanto nel più completo isolamento le nostre capacità creative raggiungono dei livelli soddisfacenti. Poi naturalmente abbiamo chiamato il resto dei musicisti e Tony Visconti, che nel frattempo se la spassavano a Zurigo. Come avrai notato è la stessa band che mi ha accompagnato nell’ultimo tour mondiale.
2001: All’appuntamento mancava solo Bob Fripp…
BOWIE: Robert non ha potuto essere dei nostri soltanto perché in quel periodo era impegnato in altre faccende. Non abbiamo litigato, come invece hanno scritto su dei giornali inglesi. Si è trattato soltanto di un semplice caso di contemporaneità lavorative. I tempi di registrazione non sono stati eccessivamente lunghi: soltanto Brian si è trattenuto un po’ di più negli studi insieme a Tony per gli ovvi perfezionamenti sonori.
LODGER-SINTESI
2001: Cosa significa dinamicamente l’uscita di un album come questo?
BOWIE: Prima di tutto è opportuno definire cosa è l’album. Lodger è una sorta di miscuglio primitivo di stili che ha finito per creare una amabile miscela. Abbiamo lavorato su numerosissimi piani, e per questa ragione ora ho delle concrete difficoltà nel tentare una sorta di analisi. Il motivo principale che mi ha spinto ad incidere l’album però ce l’ho ben chiaro in testa. Vedi, sono stato mosso dall’ambizione di sintetizzare in sole dieci canzoni la mia vita artistica.
2001: Questo a dire il vero lo abbiamo intuito anche noi, e continuando logicamente ora non resta che parlare brevemente dei brani.
BOWIE: Sono nati tutti in poco tempo e quindi non hanno avuto un a gestazione molto lunga. Al loro interno però inizio a vedere delle differenziazioni.ad esempio ci sono tre o quattro canzoni narrative, ovvero da easy listening, inoltre altre due o tre che potrebbero essere comprese nel termine di dada-pop, creato in opposizione netta a quello del rock . Mah, in fondo credo che Lodger abbia sancito ufficialmente la nascita del Bowie-pop. Una cosa è certa: non c’è assolutamente disco-music nell’album. Quello è un genere che appartiene al mio passato americano e con il quale attualmente non ho proprio nulla a che fare. Al massimo si può dire che nel Bowie-pop confluiscono alcuni elementi di musica nera, che però a contatto con elementi di altra natura e con la mia tecnica di miscelamento, finiscono per perdere completamente la loro primitiva fisionomia.
2001: Questa risposta servirebbe da sola come base da cui partire per una intervista a parte. Hai parlato di Bowie-pop. Limitiamoci a questo.
BOWIE: C’è poco da dire. Il Bowie-pop non è che la sintesi organica di tutte le mie precedenti esperienze musicali. Nel corso della mia vita artistica sono passato attraverso numerosi stili, avendo però sempre dentro di me l’intima convinzione di non rimanervi troppo attaccato. Ora sento invece l’esigenza di stare un po’ fermo, di racchiudermi in me stesso, di elaborare i dati raccolti e di farli confluire nel Bowie-pop. Per questo prevedo in futuro un discreto periodo di silenzio artistico durante il quale passerò in rassegna tutti i miei piani. Per il momento ti posso soltanto dire che mi distaccherò dalla musica fino alla fine dell’anno. Dopo si vedrà.
2001: Questo significa che non ci sarà un Lodger-tour?
BOWIE: Ci sono scarse possibilità di realizzazione. Tutto sommato ho attraversato un periodo in cui mi sono buttato fin troppo dentro la musica e il suo mondo. E’ venuto il momento di fermare lo sguardo e di portarlo su altre cose.
2001: E’ una voce attendibile quella che annuncia la conclusione della tua collaborazione artistica con Brian Eno?
BOWIE: Certamente, ma una notizia del genere va anche spiegata, onde evitare fraintendimenti non del tutto simpatici. Vedi, il fatto che per tre album io abbia scritto diverse canzoni con l’aiuto di Brian non è un fatto casuale. Da lui ho attinto dati preziosi, informazioni di prima mano circa il modo di procedere di quella che oggi viene definita musica moderna. Ed il lavorare con lui mi è servito ad uscire dalla ristretta dimensione soul per approdare a quel momento di rottura che è stato Low. Subito dopo l’incisione di quel disco ho però iniziato a vederci chiaro, con Heroes ho mosso i primi passi verso quel Bowie-pop che con Lodger ha assunto dei connotati più precisi. Brian quindi ha avuto un ruolo fondamentale nella mia musica, ma oggi ritengo che ognuno torni a vivere individualmente le proprie tensioni artistiche. Comunque siamo ancora ottimi amici e non è da escludere che invece sia proprio Bowie in un futuro prossimo a collaborare in un album di Eno.
2001: Visto che siamo in tema di collaborazioni interrotte: con Iggy Pop è accaduta in un certo senso la stessa cosa. Tre album e poi ognuno per sé…
BOWIE: Voglio rivelare un piccolo segreto. Il rapporto con Iggy è stato senza dubbio equivalente. Io sono servito a lui come trampolino di lancio, come carta referenziale per poter rientrare nel giro; lui invece ha svolto nei miei confronti una inconsapevole funzione di bilanciamento. Mi spiego meglio: in un momento in cui andavo sempre più concettualizzando le mie composizioni, Iggy mi è servito ad evitare sbandate estremiste in quella direzione. Non è un caso che sia andato in tour mondiale con lui proprio dopo avrei inciso Low. Quei concerti assordanti, estremamente fisici mi hanno tenuto stretto ad una polidimensionalità che poteva essere abbandonata facilmente. In questo senso “Young Americans” è piuttosto significativo.
NUOVO CICLO
2001: Queste ultime frasi mostrano un aspetto della tua personalità che si intuiva chiaramente, ma che da parte tua non aveva mai trovato la giusta esplicazione: il freddo calcolatore delle sue mosse.
BOWIE: Calcolatore sì, freddo no. Ora sono un felice trentaduenne, ho imparato a razionalizzare il mio operato e a guidare (non a reprimere) i miei sentimenti, le mie aspirazioni; insomma tutto quel patrimonio di espressioni personali che non sono riconducibili sotto l’immediato dominio della ragione. Per questo mi ripeto spesso che non ho più l’età nella quale si affronta la vita a braccia aperte e magari anche con il sorriso sulle labbra. Con ciò non voglio affatto dire che sono una persona resa sospettosa e sfiduciata dal suo agire quotidiano quanto piuttosto un’altra cosa: ogni età richiede un preciso atteggiamento e ora mi trovo in un periodo nel quale sono costretto a riflettere prima di muovere anche un solo piede. Inizio ad avere meno tempo a disposizione ed eventuali errori da parte mia, potrebbero essere pagati ad un prezzo elevatissimo. Non è vero?
2001: Sei soddisfatto di te. Ci spieghiamo meglio: hai sempre dato importanza al rapporto che uno instaura con se stesso…
BOWIE: Ti precedo, facendo anche un po’ di autocritica. Ai tempi di Ziggy Stardust ho forse esagerato, soprattutto per quanto riguarda il vivere esclusivamente in funzione di quel travestimento. Oggi sono decidsamente più soddisfatto di David Bowie: scelgo in piena libertà e autonomia. Un tempo invece ero un animale teso unicamente all’adattamemto ambientale
2001: Spostiamoci verso altri settori. I nostri lettori già sanno i motivi che ti hanno spinto a mettere in Lodger delle influenze artistiche del terzo mondo. Quello che ora vogliamo sapere è se hai intenzione di sviluppare l’idea originaria.
BOWIE: Non credo proprio, se tu intendi con la parola sviluppare dare maggiore spazio. Per me è arrivato il momento della sintesi. E questo comporta un maggior calibramento delle parti. E poi sono convinto di una cosa: la nostra stessa musica, quella occidentale, altro non è che una derivazione sofisticata di quella che viene eseguita dalle tribù africane. In campo musicale noi bianchi siamo stati completamente colonizzati.. ecco ho voluto dire questo con “African Night Flight”. Un ritorno alle origini musicali. La musica bianca oggi non esiste più, almeno per quanto riguarda la circolazione industriale. E’ stata una terribile scoperta! In un certo senso il bowie-pop si è impadronito anche di elementi africani allo stato puro (non contaminati, o meglio non risultanti da un trapianto) e li ha inseriti in un contesto completamente diverso. Per questo ho tenuto a sottolineare che in Lodger non compaiono riferimenti espliciti alla disco-music. Infatti se ve ne fossero ne sarebbe conseguita una tremenda contraddizione.
2001: Abbiamo letto alcune tue dichiarazioni nelle quali era detto che non amavi eccessivamente esibirti dal vivo e che lo facevi unicamente per soldi..
BOWIE: Se un musicista si sobbarca la gran fatica di girare il mondo suonando, ci deve per forza essere anche un motivo economico. Prendi Dylan: il suo tour europeo gli è servito per procurarsi il denaro sufficiente per poter allestire iniziative di altra natura. In quella occasione il mio pensiero è stato stravolt, in realtà le cose sono molto più normali di quello che sembra. Vedi, a me piacerebbe suonare dal vivo quando ne ho voglia, senza dovere avere alle spalle l’organizzazione necessaria per un tour mondiale. In quel caso ti piovono sulla testa preoccupazioni a non finire, grane che ti fanno fretta perdere la voglia di salire sul palco. Concludendo possiamo dire che Bowie ama suonare dal vivo, ma odia al tempo stesso le gigantesche tournee. Per questo motivo per il futuro sono intenzionato a trovare un compromesso fra le esigenze economiche e quelle più strettamente personali. Per ora, e qui ti prevengo, non ho ancora,nulla di definito tra le mani.
2001: Tony Visconti lavora con te da moltissimi anni. E’ stato il coproduttore di quasi tutti i tuoi album. Eppure raramente fai il suo nome..
BOWIE: Questo però non significa nulla. Vedi, Tony per me è di una importanza fondamentale. Senza di lui in uno studio non mi ci saprei proprio vedere. Come hai detto tu, lavoriamo insieme da molti anni, perciò la sua presenza è diventata del tutto familiare. La do quasi per scontata.
2001: Le tue esperienze cinematografiche sono state oggetto di critiche piuttosto feroci..
BOWIE: Lo so, e la cosa non mi ha fatto molto piacere. Ad essere onesti c’è da sottolineare un fatto: di solito i critici hanno mirato al film, non al mio modo di recitare. Hanno detto che le pellicole non valevano molto, ma mai che Bowie dovrebbe tornare a cantare, e sai perché? Quando abitavo a Berlino sono andato per un anno intero a scuola di recitazione, costruendo così i miei personali mezzi espressivi.
2001: hai detto “quando abitavo a Berlino”. E’ proprio finito un ciclo?
BOWIE: Penso proprio di sì. Come sai in questo momento la mia residenza è Vienna. E ciò non è casuale. Mi sono trasferito in quella città tranquilla decaduta perché la ritengo il luogo ideale per poter proseguire i miei studi di pittura.
2001: Finalmente hai dato una indicazione precisa sul tuo futuro, nel quale ci sembra di capire che per il momento sarà in primo piano la pittura. Come è nato il tuo interesse nei suoi confronti?
BOWIE: Tutto è cominciato a Berlino. Soffrivo d’insonnia ed iniziai a dipingere proprio per curare questa malattia Ho usato quindi la pittura sul principio soltanto come mero mezzo distensivo. Ora voglio fare le cose sul serio, anche se non sono assolutamente intenzionato a rendere pubblici i miei lavori. Sul versante pubblico ci sono già musica e cinema e credo proprio che bastino.
2001: Un’ultima domanda. Lo sai che il tuo nuovo album è stato premiato dal nostro giornale?
BOWIE: Certamente. E non posso che dire grazie!
Aldo Bagli