Trans-Europe Excess, Uncut n. 47, aprile 2001 (prima parte)

Nella metà degli anni Settanta, David Bowie viveva a Los Angeles, così confuso dalla cocaina e dalla magia nera che gli amici come Elton John e John Lennon pensavano che sarebbe diventato pazzo o sarebbe morto. Ma, come Bowie dice in questa intervista esclusiva a Uncut, per sfuggire a questo caos narcotico, dovette spostarsi a Berlino, trovare la strada per la redenzione e registrare una trilogia di album che avrebbe inventato il futuro del rock.

Berlino, 1976
Completamente alterato e in preda alla paranoia, David Bowie è convinto di essere stato ignobilmente truffato da un fornitore di cocaina su una partita di merce. Percorrendo l’arteria principale della città, la Kurfurstendamm, nella vecchia Mercedes decappottabile acquistata per lui dai fedeli amici Iggy “Jim” Pop Corinne “Coco” Schwab, riconosce finalmente il pusher nella propria auto. Coi nervi a fior di pelle e come ipnotizzato, Bowie urta senza pietà la macchina della sua vittima. Poi la colpisce una seconda e una terza volta. E poi ancora, ancora, ancora. Si guardava attorno ogni momento e potei vedere che era assolutamente terrorizzato per la sua vita Bowie avrebbe ricordato davanti al pubblico riunito per il concerto del 2000 che avrebbe fatto parte di Bowie at the Beeb . “Lo colpii per buoni cinque o dieci minuti. Nessuno mi fermò. Nessuno fece nulla.” Bowie finalmente ritorna in sé e abbandona la scena dell’incidente prima di vedersela brutta, ma nella stessa notte raggiunge “una sorta di impasse spirituale”. Si ritrova nel garage di un hotel, i suoi piedi incollati sull’acceleratore, a zigzagare a folle velocità. La star esaurita decide così di impersonare “Kirk Douglas in quel film dove fa il pazzo col volante” (1).
E quindi, naturalmente, cerca di fare la stessa cosa. Ma immediatamente la sua Mercedes finisce la benzina e si imballa. “Mio Dio”, singhiozza Bowie, “questa è la storia della mia vita”. Ma si sbagliava. Perché invece di correre verso il vuoto, Bowie scriverà una straziante confessione chiamata “Always crashing in the same car”. E invece di scomparire all’apice della sua carriera, raccoglierà i frammenti sparsi della sua mente e li distillerà nei tre più innovativi, catartici e semplicemente magici albums della sua carriera. E invece di diventare solamente l’ennesima vittima del rock anni settanta, Bowie fonderà il punk con l’elettronica, la magia nera con il rumore bianco, la psicosi da anfetamine con la guarigione spirituale. E, come prodotto di questo processo, inventerà casualmente il futuro del rock. Ma per il momento, crollato sul volante in un parcheggio di Berlino, Bowie è al punto più basso di un periodo davvero terribile. “Come accadde” confesserà più tardi con macabro umore “le cose si aggiustarono subito dopo”.
La precipitosa caduta di Bowie in quello che, con un gioco di parole, possiamo definire il Trans Europe Excess cominciò in verità ad Hollywood nella prima parte del 1975. Risiedendo al North Doheny Drive a Bel Air, dopo una disastrosa dipartita da New York, l’artista in precedenza conosciuto come David Jones, iniziò una rapida discesa verso la dannazione del rock and roll. Trovandosi tra i detriti di una brutta separazione con la compagnia di management Mainman, la graduale dissoluzione del suo matrimonio e le crescenti orde di pushers e di strozzini, un sempre più fragile Bowie iniziò ad implodere. A causa della mancanza di riposo e di un avido appetito per quelle che la moglie Angie descrisse come “grosse confezioni della migliore roba peruviana”, Bowie diventò ossessionato dall’occultismo, dalla Cabala e dalla magia nera. Con la mente alterata dalla cocaina, David si convinse che due fans volevano impadronirsi del suo sperma per essere fecondate in un sabba, in modo da propagare il satanismo nel mondo. In seguito spiegò che “c’era qualcosa di orribile che permeava l’atmosfera a Los Angeles in quei giorni. Il tanfo di Manson e degli uccisori di Sharon Tate”(2).
David passava i suoi giorni scarabocchiando enormi pentagrammi sulle pareti di casa, conservando la propria urina nel frigo per proteggersi dai malefici, scolpendo enormi monoliti davanti alla TV e ricercando messaggi in codice nelle copertine dei dischi dei Rolling Stones. La cosa più terrificante di tutte fu l’esorcismo della piscina, le cui acque vennero agitate e portate all’ebollizione finchè una immagine del diavolo non venne dissolta sul fondo della medesima. “Ho attraversato vari stadi in differenti dimensioni”, Bowie disse “e sono abbastanza sicuro che, a mio avviso, ho realmente camminato in altri mondi e visto cosa c’era dall’altra parte”. Oltre alla cocaina, la appartata star viveva di una dieta di peperoni e latte, le tende delle stanze perennemente tirate poiché “non volevo che il sole rovinasse proprio in quel momento la vibrazione dell’eterno”. Ridotto ad uno scheletro deambulante, trangugiava cucchiaiate di gelato per mantenere il peso. David era in vita, ma giusto quella, e molto sofferente. “Un giorno mi soffiai il naso e venne fuori metà del cervello” avrebbe raccontato in seguito. Visitandolo, gli amiciJohn Lennon ed Elton John si convinsero che Bowie era prossimo alla morte. Raccontò agli amici che il telefono era sotto controllo e che si sentiva pedinato. Alla cerimonia di consegna dei Grammy Awards – una sorta di Oscar per la musica – Aretha Franklin si rifiutò di stringergli la mano, dicendo sarcasticamente ritirando il premio: “Sono così felice di aver potuto anche baciare David Bowie”.
Durante le seguenti sessions a Los Angeles per il suo Station to Station, Bowie bruciò candele nere per allontanare “visitatori indesiderati” che provenivano dall’aldilà. Per peggiorare ulteriormente le cose, il rapporto con il suo ultimo manager Michael Lippman si stava rapidamente deteriorando solo dopo pochi mesi. L’amara ironia di tutto questo consisteva nel fatto che Bowie stava avendo un grande successo in un paese che era sempre stato molto difficile da conquistare da parte dei rockers britannici. Il suo album Young Americans aveva venduto tantissimo, conquistando con il singolo Fame la prima posizione nella classifica americana. Il suo volto vampiresco appariva in tutte le copertine dei settimanali di intrattenimento, ed egli divenne uno dei pochi artisti bianchi ad esibirsi nel prestigioso programma Soul Train trasmesso dalla rete ABC.
Stava inoltre per fare una acclamata apparizione nella pellicola science fiction di Nic Roeg “The Man who fell to earth”. Station to Station sarebbe stato un altro successo commerciale, conquistando infine la terza posizione in classifica. Ma da allora, a Bowie tutto ciò sembrava distante e senza più importanza. David era così confuso durante le sessions di Station to Stationsul finire del 1975, di cui ha tuttora solo qualche vago ricordo “So che si tennero a Los Angeles perché l’ho letto” ha detto recentemente. Ma fu in quell’album che David inizio a creare la nuova atmosfera coraggiosa che l’avrebbe condotto a Berlino, e in ultimo, alla sanità mentale e fisica. Con una crescente nostalgia per l’Europa e annoiato dal sound “plastic soul” della sua fase Young Americans, Bowie divenne affascinato dall’elettronica teutonica dei Kraftwerk e dei Neu! . Percorrendo le superstrade della California, utilizzava Autobahn come colonna sonora permanente, sognando l’Europa e desiderando ardentemente di fuggire. “Non sono gli effetti collaterali della cocaina” ringhiava Bowie nel brano che apriva l’omonimo album Station to Station.
Sebbene ancora permeata di rhythm and blues americano, questa canzone raggelante sottolineava esplicitamente la sua nuova direzione musicale. “Il cannone europeo è qui”, David urlava sopra un tappeto di ritmi teutonici che riproducevano il sound del treno in corsa. Ma qualunque somiglianza sonora con il classico album del 1977 dei Kraftwerk Trans Europe Express era puramente casuale. “Station to Station precedette di parecchio tempo Trans Europe Express” rileva Bowie, sottolineando che la sua fusione di rhythm and blues ed elettronica era molto distante dalle ordinate sinfonie meccaniche dei Kraftwerk. Per buona misura, David precisa che “il titolo deriva dalle Stazioni della Croce (3) e non dalle stazioni ferroviarie“. Ma riconosce nei Kraftwerk “la determinazione di staccarsi dalle sequenze stereotipate di accordi della musica americana e il completo e totale abbraccio della sensibilità europea disseminato all’interno della loro musica. Questa fu l’influenza più importante per me”.
Bowie dimostrò chiaramente la sua passione per i Kraftwerk nel suo White Light tour del 1976, utilizzando la loro musica come colonna sonora nel periodo che precedeva il suo ingresso sul palco. Iggy Pop fu un ospite fisso del tour, essendo stato recentemente dimesso dall’Istituto di Igiene Mentale di Los Angeles ed avendo stretto un patto con David per uscire dalla droga. Erano fratelli chimici, saturati dall’America e destinati ad un precipitoso abbraccio con l’Europa. Per ironia della sorte, entrambi sarebbero stati arrestati durante i concerti nella East Coast per possesso di cannabis. “State pure sicuri che quella roba non era mia” Bowie puntualizzò qualche mese più tardi “non posso dire molto di più, ma apparteneva agli altri che erano con noi nella stanza. Maledetti coglioni. Che disarmante ironia, io fermato per l’erba. La cosa mi urta parecchio. Non tocco quella roba da un decennio”.
Differenziandosi profondamente dai sofisticati e teatrali shows del passato, Il White Light tour era uno spettacolo tipicamente di impronta europea, con Bowie immerso in fasci di luce bianca contrastati da rilevanti zone scure. Ispirati dal cinema espressionista tedesco, dal teatro di Brecht e dalla fotografia di Man Ray, questi leggendari concerti testimoniavano l’ultima e più crudele “caratterizzazione” di Bowie, The Thin White Duke. Vestito con pantaloni neri a pieghe, panciotto e camicia bianca, coi capelli rosso-biondi tirati all’indietro, Bowie definiva il Duca come un prototipo del “perfetto ariano fascista, pseudo-romantico e senza alcuna emozione”. Questa descrizione si dimostrava sinistramente calzante, poiché l’ossessione di Bowie per l’occultismo e la cultura tedesca si era evoluta in una malsana attrazione per il Terzo Reich, la mitologia del Sacro Graal e lo stesso Hitler.
David concesse famigerate e spontanee interviste preconizzando il ritorno del fascismo e sogghignando che “il popolo non è molto intelligente, sai. Sostiene di volere la libertà, ma quando si tratta di scegliere passa sopra a Nietzsche e sceglie Hitler, perché quell’uomo marcerebbe in una stanza per fare un discorso e la musica e le luci apparirebbero in momenti strategici. Era quasi come un concerto di rock and roll”. Mentre la stampa britannica dibatteva furiosamente le inclinazioni fasciste di David, Il White Light tour si apprestava a toccare l’Europa. Bowie svuotò la sua casa di Hollywood durante una permanenza di tre notti a Los Angeles, inviando il tutto a Clos des Mésanges, la nuova residenza che la moglie Angie gli aveva trovato a Blonay, in Svizzera. Gli ospiti del backstage a Los Angeles avevano incluso il drammaturgo Christopher Isherwood, l’inglese che aveva vissuto a Berlino durante gli anni trenta i cui scritti ispirarono il film Cabaret. Durante gli stessi concerti, David lasciò trapelare qualche accenno a proposito della sua futura direzione musicale. “Mi piace abbastanza Eno. Mi piacerebbe vederlo nel gruppo di Iggy. Che mancanza di tatto. No, in realtà sto pensando di metter su per Iggy un gruppo formato da ex giocatori negri di basket…”.
Nel mese di aprile, il tour toccò per qualche tempo Berlino. Bowie e Iggy erano affascinati dalla città, e frequentarono assiduamente i leggendari clubs e locali per travestiti. Il fotografo del tour Andrew Kent ricorda: “Abbiamo oltrepassato Checkpoint Charlie e vagato attraverso Berlino Est con la grossa limousine di David. Era la vecchia Mercedes 600 del presidente della Sierra Leone ed aveva uno di quei finestrini dal quale potevi alzarti in piedi e salutare la folla. David aveva un ottimo autista, Tony Mascia, e siamo usciti di notte un paio di volte girando per Berlino a velocità pazzesca. David e Iggy adoravano tutto ciò, stavano fuori per tutto il tempo”. Durante il tour, David incontrò finalmente i Kraftwerk. Ma nega che ci fosse una qualsiasi ipotesi di lavoro comune. “Le loro erano robotiche, controllate ed estremamente misurate serie di composizioni, quasi una parodia del minimalismo”, afferma “il mio lavoro tendeva ad una sensibilità di tipo espressionista“.
Facendo seguito al concerto di Zurigo tenuto il 17 aprile, con una settimana di pausa prima della ripresa del tour, fu prenotato un viaggio in treno per condurre Bowie, la sua press-agent di lunga data Coco Schwab, Iggy, Andrew Kent e pochi altri sino ad Helsinki via Varsavia e Mosca. Fu un viaggio pieno di sorprese. A Brest, sul confine russo-polacco, la compagnia venne arrestata e vennero sequestrati alcuni libri su Joseph Goebbles e Albert Speer. Bowie protestò dicendo che costituivano semplice materiale di “ricerca” per un film che stava pianificando sulla vita del ministro della propaganda di Hitler. “Mio Dio, non sapevamo che cosa ci stava per accadere” ricorda Kent “Il treno si ferma ed un uomo del KGB albino ci viene incontro! Ci fa scendere dal treno, ci conduce in questa grande area di controllo e sopraggiunge un interprete dicendo “Non vi aspettavamo”. Fummo tutti separati. Iggy e David subirono una perquisizione completa. Credo che sequestrarono alcuni libri, questo è quanto. Non ho idea di che cosa presero a David, ma a me portarono via una copia di Playboy”. Ulteriori complicazioni erano in agguato. “L’agenzia ci aveva detto che qualcuno ci avrebbe atteso a Mosca”, disse Kent che aveva organizzato il tutto “ma non c’era nessuno. E così, quando scendemmo dal treno noleggiammo infine un camion militare per condurci all’hotel Metropol. Visitammo la Piazza Rossa ed i magazzini GUM e ritornammo in hotel per gustare del caviale, quindi ci dirigemmo in un’altra stazione, prendemmo un altro treno e lasciammo la città. La nostra permanenza a Mosca fu di sole sei ore. Ed a Helsinki pensavano che ci fossimo persi, poiché gli orari del treno erano sbagliati. Vi erano voci in tutta la Scandinavia che riportavano che ci eravamo persi in Russia”.
Non appena le cronache di questo incidente filtrarono in Gran Bretagna, seguite da ulteriori commenti incendiari da parte di David su Hitler rilasciati ai giornali svedesi, le preoccupazioni della stampa musicale inglese a proposito delle inclinazioni fasciste di David crebbero a dismisura. Fu in questo clima incandescente che Bowie raggiunse finalmente il patrio suolo a Victoria Station nel maggio 1976 con la sua Mercedes decappottabile. Qui accadde il famigerato incidente “heil e arrivederci”, un saluto a braccio teso che nessuno presente ritenne essere un saluto nazista. Solo in articoli successivi della stampa il gesto di Bowie assunse un significato sinistro. “Non accadde nulla di tutto questo”, disse in seguito un irritato David ” Ho solo oscillato il braccio per salutare. Credetemi. Giuro sulla vita di mio figlio, ho solo salutato. Ed il bastardo mi ha beccato nel mezzo del saluto…come se fossi così imbecille da fare una simile bravata. Quando ho visto la foto volevo morire”.
Tuttavia, secondo un biografo, Bowie fece un genuino saluto nazista a Berlino per il fotografo Andrew Kent, con la promessa che la foto non sarebbe mai stata mostrata in pubblico. “Non ho intenzione di parlare di questo” dice Kent “Non ho mai ritenuto David un simpatizzante nazista. Sono ebreo, se qualcuno dimostrasse simili inclinazioni e avesse cattive intenzioni… Credo solo fosse quello che si può definire come una attrazione adolescenziale”. Avesse o meno compiuto quell’atto, l’interesse di Bowie per il fascismo non costituiva chiaramente una seria e pericolosa infatuazione. David ha speso 25 anni a tentare di spiegare e a scusarsi per quelle “semplici affermazioni teatrali” male interpretate che fece nel 1975 e nel 1976. Il suo gruppo del tempo, composto per la maggior parte da neri e newyorchesi di origine portoricana, non prese mai questi commenti seriamente. Brian Eno li liquida ora come semplici atteggiamenti. Solo le teste rasate del National Front inglese, che esaltarono nei loro scritti il sound “ariano” di Bowie, e l’egualmente appannata FBI, che classificò David come “apparentemente simpatizzante per il nazismo” poterono non cogliere l’illogica ironia di quelle affermazioni pubbliche.
Ciò che appariva chiaro era che lo stato mentale di Bowie a metà degli anni settanta era confuso e disgregato. Prima dei concerti alla Wembley Arena per il White Light tour egli puntualizzò al un giornalista di Fleet Street (4) Jean Rook che il Sottile Duca Bianco non era tanto un Hitler del rock and roll quanto “un puro clown, l’eterno clown che ha la meglio sulla grande tristezza del 1976”. Rook notò che “Bowie sembra seriamente ammalato. Magro come quegli insetti del legno. E di un pallore cadaverico, come se il suo sangue fosse tutto finito nella chioma fiammeggiante”Brian Eno assistette ad uno dei concerti di Wembley, raggiungendo in seguito gli appartamenti di David a Maida Vale per discutere una seria collaborazione.
Bowie concluse quindi il tour in Olanda e in Francia, ritornando finalmente in Svizzera per il compleanno di suo figlio Joe. Nella primavera del 1976, Bowie venne a trovarsi ad un bivio. Avrebbe potuto far ritorno in America, dove il suo potenziale commerciale era alto, e diventare una mediocrità ovattata come Rod Stewart. Per inciso, questo avrebbe dovuto significare il ritorno a Los Angeles, “il bubbone più repellente della feccia dell’umanità…quel lurido posto dovrebbe essere cancellato dalla faccia della terra” disse Bowie nel 1977. In alternativa, avrebbe potuto rifugiarsi nella amica dei contribuenti Svizzera, giocare alla famiglia felice e diventare Phil Collins. Davvero carino. Ma David aveva anche un’altra opzione: affittare un anonimo appartamento nella “più avventurosa città che potessi immaginare” una calamita per emarginati, sballati ed ubriaconi, un luogo leggendario di decadenza bohemienne, un isola di surrealismo in un paese che non avrebbe mai dovuto esistere, circondato da filo spinato e sottoposto al braccio di ferro della Guerra Fredda. Ed inoltre, incidentalmente, la capitale d’Europa dell’eroina.
Berlino offriva a Bowie un riparo dalla notorietà, dalle richieste del music business e dai problemi famigliari e manageriali – ma forse, più di tutto, da se stesso – .O perlomeno dalla grottesca caricatura di una rock star drogata e mentalmente confusa che era divenuta a Los Angeles. “La vita a Los Angeles aveva generato in me un opprimente presagio di sventura”racconta, “l’abuso di droga mi aveva condotto sull’orlo dell’abisso una volta di troppo ed era necessario intraprendere una qualsiasi azione positiva. Berlino era una di quelle poche città in cui potevo muovermi in virtuale anonimato. Stavo andando in bancarotta, e quella città non era cara per viverci. Per qualche ragione, ai berlinesi non importava nulla. O meglio, nulla a proposito di un cantante di musica rock inglese”.
Sebbene avesse visitato alcuni luoghi nazisti a Berlino, Bowie ammise in seguito che il suo interesse accademico per Hitler soffrì di un contatto letale con la realtà dopo il suo trasferimento in Germania. “Mi trovai improvvisamente nella situazione di incontrare alcuni giovani della mia età i cui padri avevano fatto parte delle SS. Questo fu un ottimo modo per uscire da quel dilemma particolare e per ricominciare a pensare in modo più normale. Al mio ritorno in Europa mi ritrovai bruscamente coi piedi per terra”. Bowie non era solo a Berlino. Coco rimase con lui, Iggy lo raggiunse per gironzolare in città e nuovi amici come il membro dei Tangerine Dream Edgar Froese li aiutarono ad inserirsi nella vita sociale. Iggy in seguito si soffermò sulla attitudine liberale di Berlino verso i “comportamenti inusuali” nella sua frammentata autobiografia I need more. “Era come un luogo fatato, una città completamente desolata…e così alcolica. Qualcuno barcollava sempre nelle strade. Agli abitanti non importava nulla del traffico di stupefacenti – o piuttosto non importava nulla delle persone che si divertivano -“. Il divertimento fu certamente in cima alla lista di cose da fare allorquando la grande avventura di David e Iggy iniziò a Berlino.
Sebbene entrambi fossero risoluti nel voler abbandonare la droga, la cocaina fece inizialmente ancora da compagna. Il transessuale olandese Romy Haag, che gestiva il Lutzover Lampe cabaret e nelle cronache del tempo venne indicato come protagonista di un breve flirt con Bowie, ricorda che Iggy e David piombavano nel suo bar “stravolti e strafatti”. Il paracadutista inglese Stuart Mackenzie, che fu reclutato da David per un breve periodo come guardia del corpo informale, testimoniò in seguito di aver visto Iggy tirare di coca da un grosso recipiente mentre David “beveva, beveva, beveva” sino a dare di stomaco o crollare per terra. Ma questi erano i giorni iniziali, con la follia di Los Angeles ancora presente. La nuova attitudine sobria di Bowie comprendeva anche il dipingere e il visitare musei. Per lui, Berlino era la casa di Fritz Lang e Bertold Brecht, e dei dipinti “guidati dalla rabbia” della scuola espressionista Die Brucke, che in seguitò ispirò le copertine degli albums sia di Bowie (Low e “Heroes”) che di Iggy (The Idiot e Lust for Life). “Il periodo berlinese rappresentò per me la prima volta in molti anni in cui provai la gioia di vivere” spiega David “ed una grande sensazione di liberazione e di benessere. E’ una città grande otto volte Parigi, ricordatevi, ed è così facile “perdersi” e contemporaneamente “ritrovarsi”.
Bowie ed Iggy frequentarono sistematicamente i locali gay, le birrerie e le discoteche di Berlino, scolandosi la locale birra Konig-Pilsener in quantità eroiche. Una notte, Iggy capitò in un locale punk in cui un modello del muro di Berlino fu ridotto profeticamente a pezzettini. In un’altra occasione alcolica, salì sul palco per interpretare una mezzora di canzoni di Frank Sinatra, prima che un pubblico inferocito di appassionati di cabaret lo sbattesse fuori. “Ero ubriaco perso” ammise in seguito. La “nuova” musica era pure presente. “La Germania non costituiva un serbatoio musicale interessante. Se si eccettua la rigenerazione locale post-bellica, ogni concerto degno di nota passava attraverso Berlino. Ricordatevi, Berlino era la patria dei “comportamenti di tendenza” e dei vestiti di color nero. I gruppi “artistici” sognavano di suonare a Berlino”. Dopo un soggiorno iniziale all’Hotel Gehrus, Bowie e Coco trovarono alla fine dell’estate del 1976 un appartamento nell’elegante distretto bohemienne di Schoenenburg, un tempo casa di Christopher Isherwood. Sebbene modesto per gli standards di una rockstar, questo oscuro nascondiglio con le pareti di legno in un quartiere anonimo era in realtà una dimora di sette stanze con un ufficio, uno studio e camere da letto per Coco e Iggy. Bowie dormiva sotto uno dei suoi enormi dipinti neo-espressionisti del controverso scrittore giapponese Yukio Mishima
“Numero 155 di Haupstrasse, secondo piano”
 ricorda David, “bussare con energia perché il campanello a volte non funziona. Iggy venne ad abitare infine con una pollastra”. La compagna di Iggy era la statuaria figlia di diplomatici Esther Friedmann. Spesso i tre salivano sulla Wolkswagen di Esther dirigendosi verso la foresta piena di laghetti attorno a Berlino. Iggy amava “i villaggi ordinati e squadrati pieni di strani anziani tedeschi. Eravamo soliti perderci. Mi piace uscire e perdermi, e amavo visitare luoghi costruiti col legno così da togliermi ogni scoria dell’America. Fare una passeggiata era come fare una doccia”. Bowie sottolinea ulteriormente il crescente senso di benessere portato da Berlino “In parecchie occasioni noi tre saltavamo sull’auto e guidavamo come dei pazzi attraverso Berlino Est, infilandoci nella Foresta Nera e fermandoci in ogni piccolo villaggio che catturava la nostra attenzione. Lo facemmo per giorni e giorni. Oppure ci dedicavamo a lunghi pranzi pomeridiani nel Wannsee nei giorni invernali. Il nostro luogo aveva il tetto di vetro ed era circondato da alberi e trasudava ancora una atmosfera della lontana Berlino degli anni venti”.
Bowie Iggy e Coco acquistavano caviale e cioccolato nell’enorme centro commerciale Ka Da We nel centro di Berlino Ovest. Spiega David, “nella notte ci univamo agli intellettuali e ai tiratardi al ristorante Exile a Kreuzberg. Nel retro c’era una sala per fumatori con un tavolo da biliardo, ed era come una sorta di altro soggiorno, eccetto il fatto che la compagnia cambiava sempre”. L’isolamento di Berlino al di qua della Cortina di Ferro trasmetteva alla città anche un brivido gelido del dramma della Guerra Fredda. Ricky Gardiner, il chitarrista nato ad Edimburgo che suonò sia su Low che su Lust for Life ricorda i giri in macchina in questa sorta di oasi lungo il sorvergliatissimo corridoio autostradale attraverso la Germania dell’Est.“L’autobahn era ancora come Hitler l’aveva costruita”, dice Gardiner “non aveva avuto alcuna manutenzione. Le lastre di cemento spaccate avevano assunto una sorta di movimento tettonico proprio, e sobbalzavamo di lastra in lastra. L’autobahn era occasionalmente attraversata in cima da alcuni passanti. Qui, piccoli gruppi di persone si riunivano per osservare l’opulento Ovest che praticava quelle libertà che loro potevano solo sognare. Il loro vestito era trasandato e privo di colore. Avevano il modo di comportarsi degli ospiti di qualche istituto di pena”. 
Tony Visconti
, che coprodusse tutti e tre gli album berlinesi di David, ricorda Berlino come una sorta di parco psichiatrico a tema. “Il pericoloso ostacolo delle zone militari separate, i ristoranti estremamente tradizionali coi camerieri coi grembiuli, che ricordavano la presenza non troppo lontana di Hitler, uno studio di registrazione a pochi metri dal Muro”, ricorda.“Avresti potuto essere sul set del film Il Prigioniero”. Bowie descrisse Berlino come la sua “clinica”, un esperimento terapeutico di disintossicazione chimica e spirituale. Si fece crescere i baffi e tagliare i capelli cortissimi da Visconti, prese a vestire come un contadino polacco e a girare in bicicletta in città nell’anonimato. Questo, spiegò, era un perfetto antidoto a “quelle tristi e deprimenti luci della ribalta del rock and roll americano e delle sue ripercussioni – tirandomi finalmente fuori e raggiungendo l’Europa dicendomi “Per amore di Dio, cerca di ripensare al perché avevi deciso di fare tutto ciò. Lo facevi per finire a fare il pagliaccio a Los Angeles? Ritirati. Ciò che ti occorre è guardare dentro a te stesso in modo più accurato. Trova delle persone che non comprendi e un posto in cui non avresti voluto essere ed immergiti completamente. Obbliga te stesso a far compere dal droghiere… – “.
Ma Berlino costituiva anche una grande metafora per il crescente senso di alienazione e di schizofrenia di Bowie nei tardi anni settanta, una grossa tela per il psicodramma curativo di Low, “Heroes” e Lodger. Incastrato in una squallida interzona tra l’Ovest e l’Est, questo panorama frammentato era sicuramente utile alla lunga passione di David per la science fiction. Ma stava inoltre per diventare la messa in opera del suo viaggio più avventuroso. Una discesa nella propria psiche distrutta, una esplorazione del proprio spazio interiore.

di Stephen Dalton e Rob Hughes

 

(1) Si tratta di The Racers del 1955, in cui Douglas interpreta un corridore automobilistico (note del traduttore)
(2) Sharon Tate, moglie del regista Roman Polansky, fu orrendamente trucidata insieme ad alcuni amici da una setta di adoratori di Satana, il cui capo era il famigerato Charles Manson, durante un rito di magia nera a Bel Air, nell’estate del 1969.
(3) Le quindici fermate di Cristo nella Via Crucis.
(4) Fleet Street è sede a Londra dei tabloids scandalistici inglesi The Sun e Daily Express.

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