Il diario di Nathan Adler

David Bowie diario di nathan adler outside

THE DIARY OF NATHAN ADLER OR THE ART-RITUAL MURDER OF BABY GRACE BLUE

IL DIARIO DI NATHAN ADLER O L'OMICIDIO ARTISTICO-RITUALE DI BABY GRACE BLUE

PREFAZIONE

Biondo, bel viso aristocratico di intellettuale inglese, occhi perversi diversi l’uno dall’altro: così mi apparve David Bowie sulla copertina di un suo album la prima volta che Adriana e Tito Schipa me lo fecero ascoltare tanti anni fa. Sapevo che era stato un Mod di Londra, che aveva lavorato come mimo e ballerino con Lindsay Kemp, che si era lasciato ispirare da l’ “Odissea nello Spazio” di Kubrick, che si era fatto fotografare vestito alla Laureen Bacall, che aveva vissuto un terribile dramma con le anfetamine e la cocaina, che aveva scritto una canzone per Andy Warhol, che aveva fatto un film con Marlene Dietrich, che aveva impersonato un extraterrestre nel film concettuale “L’Uomo Che Cadde Sulla Terra”, che aveva letto “City of the Night” di John Rechy e i libri di Jack Kerouac, che stimava Neal Cassady e, passaporto per me definitivo, che nel 1974 era diventato amico di William Burroughs e aveva scritto per lui Diamond Dogs. Ora, 1995, William Burroughs si è riaffacciato nella creatività di David Bowie. Dopo aver cambiato tante volte vena da venir definito “L’Uomo dalle mille facce” o “Mr. Camaleonte”, nel nuovo album OUTSIDE Bowie ha affrontato con Brian Eno la realizzazione elettronica dei cut-ups di William Burroughs, i collages letterari da questi usati la prima volta in “Minutes to go” nel 1959 con Brion Gysin e poi nella trilogia degli Anni Sessanta “The Soft Machine” (La morbida macchina), “Nova Express” e “The Ticket That Exploded” (Il biglietto che esplose). Bowie aveva già provato la tecnica dei cut ups di Burroughs nel 1973 nelle composizioni che sarebbero uscite qualche anno dopo negli album Low, Heroes e Lodger; ma per OUTSIDE ha detto in un’intervista: “Ho preparato un nuovo programma nel mio computer capace di mescolare alla rinfusa i miei scritti verso per verso, tre parole per tre parole, e produrre composizioni di immagini e descrizioni del tutto diverse da quello che avevo programmato; una specie dei cut ups di Bill Burroughs da macchina elettronica. Ho fatto in pochi secondi quello che dal 1973 avevo fatto con colla e forbici”. L’influenza di Burroughs non si limita alla tecnica compositiva. Nel narrare la storia di OUTSIDE, intitolata da lui “I diari fittizi del detective Nathan Adler” (col sottotitolo “L’Assassinio rituale artistico di Baby Grace Blue”), Bowie ha detto che “è stata per lui una rivelazione ritornare ai personaggi musicali dopo non aver lavorato in quello stile dal Thin White Duke del 1976. Anche la strana località scelta, New Oxford Town, alludeva chiaramente alla rovina psichica che era Diamond Dogs”. OUTSIDE vuole dunque rivelare che cos’è un outsider e per farlo racconta la storia del “detective d’arte Nathan Adler e delle sue investigazioni in una serie di cosiddetti assassinii rituali d’arte, scippi concettuali e altri vari e caotici misfatti”. E’ una storia che non si svolge più, come ci ha abituati Bowie, nello spazio della fantascienza, o nel suo caro mondo androgino, o nella invenzione del suo video pop ma nelle drammatiche, a volte sadiche, a volte macabre, fantasie di Burroughs. Sono le fantasie definite nella letteratura americana “neo-gotiche”: il dramma dell’orrore, inventato secoli fa dagli scrittori inglesi e risuscitato in America oltre che nella narrativa popolare, in una certa letteratura del Sud, spesso in William Faulkner o in Carson McCullers o in William Goyen o più di recente in Joyce Carol Oates. Così la prima parte del diario racconta il dissezionamento della quattordicenne Baby Grace, nelle cui braccia vengono infilati sedici aghi ipodermici che vi inseriscono agenti coloranti mentre il diciassettesimo ne estrae tutto il sangue, lo stomaco viene squartato, gli intestini asportati e appesi all’ingresso del Museo di Parti Moderne. Questo era certamente un omicidio, ma era arte? si chiede l’investigatore, che si considera uno hacker, un disturbatore di computers. Nel descrivere il prossimo delitto, Nathan Adler cita i rituali di sangue di Herman Nitsch, leader del Wiener Aktionismus, e parla di un luogo dove si può assistere alla rimozione di pezzi di corpo umano sotto anestetico; nel successivo parla di un artista eroinomane e sieropositivo che si infila aghi da calza nella fronte ridotta a una corona di sangue e di un negro al quale viene scalpellato il dorso. A questo punto l’artista dichiara di occuparsi dei problemi di chi si odia, soffre, guarisce e si redime. Prima della redenzione Bowie presenta il Centro Caucasico del Suicidio con la sua sacerdotessa RAMONA; poi una gamba di donna bianca che sporge da un bagno di smalto nero, due neonati incollati l’uno all’altro coperti di perle con la colla che impedisce alla pelle di respirare e li fa morire, uno stilista che disegna cappelli per Vogue coprendo le facce delle modelle di mosche o vespe morte e teste di vitelli scuoiati con le lingue penzoloni. Era questa arte? si chiede l’investigatore; ma, dice, i surrealisti considererebbero antiquata l’opera. Queste di Bowie sono immagini neogotiche, risolte con la tecnica del cut up di Burroughs; di lui non sono presenti però i riferimenti sessuali ai quali ci ha abituato, per esempio coi suoi fascinosi efebi dai capezzoli rosati, impiccati col pene eretto nell’ultimo orgasmo. Ma le poesie, le liriche del disco, sono bellissime, da grande poeta, con versi stagliati nella disperazione come lo sono i cut ups di Burroughs. La sua abilità non gli viene dalla scuola ma dalle sue traumatiche esperienze di vita: da quando a dodici anni il fratello maggiore gli ha fatto leggere Jack Kerouac e conoscere Neal Cassady, Bowie si è chiuso in se stesso e, ha detto in un’intervista, si è sentito “emarginato a causa dell’indifferenza dei genitori: questo mi ha fatto scattare la voglia di rompere con i tabù. Il grigiore e il perbenismo mi infastidivano. Mi immaginavo di essere come Neal Cassady”. Così a quindici anni abbandonò la scuola e da autodidatta attraversò il mondo; e entrò nel caos dell’ambiguità sessuale, uno dei temi base della sua vita e della sua poesia. “Ero una persona molto triste” dice nelle interviste. Nei suoi versi, intrisi di significati oscuri, riversò i suoi dubbi verso se stesso, e da personaggio “rock” quale si trovò ad impersonare, cercò di esprimere le emozioni pure che lo assillavano, mentre spiegava nelle interviste: “Ciascuno crea il suo doppio e poi lo riempie di tutte le sue colpe e poi lo distrugge… Mi sembrava più facile vivere attraverso un altro io. Il problema era che così sfumava il confine tra normalità e follia”. Nel caos sessuale e esistenziale nel quale si dibatteva (attento alla massima di Burroughs: “C’era un senso nel rispondere con il caos a quei tempi caotici”, e attentissimo alle espressioni poetiche dei suoi contemporanei, specialmente Bob Dylan e Jim Morrison, grandi poeti più ancora che grandi compositori), infranse in modo personalissimo la barriera tra arte alta e arte bassa. Si scoprì simbolista, disse: “Per un simbolista, che è quello che sono io, personaggi e situazioni sono manifestazioni di cose che non si possono spiegare”. Si dedicò alla ricerca di se stesso, a risolvere il suo senso di solitudine, a spiegare che quando ha parlato di alieni non alludeva ai personaggi della fantascienza ma agli individui che sono alieni gli uni agli altri, come lui si sentiva alieno nella sua famiglia. Continuò a credere in Dio. “Molte mie canzoni sembrano preghiere: preghiere di riuscire a trovare l’unità di me stesso. Ho una fiducia incrollabile nell’esistenza di Dio. La mia vita è stata una continua ricerca del mio tenue legame con Dio. Mi sentivo solo perché avevo abbandonato Dio”. Così “l’uomo dalle mille facce” ha affermato: “L’ultima incarnazione che voglio incontrare faccia a faccia è me stesso”. In questo OUTSIDE, che noi certo speriamo non sarà “l’ultima incarnazione”, riversa in liriche tragiche la sua sfiducia nel domani: qualunque cosa sia ad accadere, canta, è oggi che accade, e comunque accade fuori, fuori dalla nostra portata, fuori di noi. Con questa premessa invoca un futuro che non c’è per lui che ha perso la strada e crede di essere già nella tomba in un fantastico abisso di morte… Povera anima, continua, non seppe mai che cosa lo aveva colpito, e fu un bel colpo: parla il suo cervello, ma la volontà di vivere è morta e le preghiere non arrivano così lontano. A ucciderlo, forse, è il caos in cui vive senza sapere se gli piacciono le ragazze o i ragazzi. Qui si vive di ora in ora, canta, si prende quello che si può: è una vita che riconosce la morte inodore, non c’è inferno, non c’è vergogna: una vita nell’ombra della vanità. Signore, invoca Bowie, tirami fuori di qui, suona la campana: va tutto bene, il 20° secolo muore. Ecco la tua ombra sulla mia parete, continua, ecco cosa avrei potuto essere se non avessi strappato il tessuto, se il tempo non si fosse fermato, se avessi pagato il conto. Stare lontano dal futuro, fuggire dalla luce, stare fermi nel proprio angolo, non confidare a Dio i propri piani: non c’è controllo, ogni singola mossa è incerta, non posso controllare il mio destino. Cala l’ansietà, continua Bowie, avevamo tanti desideri, al principio, ma abbiamo vissuto vite insopportabili. La rivelazione arriva nel modo più strano: voglio venire in fretta e morire. Dove sono finiti i fiori, canta riprendendo un tema caro agli Anni Sessanta. Fino alla conclusione drammatica, forse (purtroppo) autobiografica: “Non c’è ritorno”. Sono liriche tragiche, ripeto, bellissime, da grande poeta, intrise di una sofferenza che è sempre il prezzo della poesia: la sofferenza che lo accomuna ai suoi grandi compagni di strada, come lui forse più poeti che compositori.

Fernanda Pivano
Roma, 1-14 agosto 1995

A non-linear Gothic Drama Hyper-cycle

It was at precisely 5:47 am on the morning of Friday 31 of December 1999 that a dark spirited pluralist began the dissection of 14-year-old “Baby Grace”.

The arms of the victim were pin-cushioned with 16 hyperdermic needles, pumping in four major preservatives, colouring agents, memory information transport fluids and some kind of green stuff.

From the last and 17th, all blood and liquid was extracted. The stomach area was carefully flapped open and the intestines removed, disentangled and re-knitted as it were, into a small net or web and hung between the pillars of the murder-location, the grand damp doorway of Oxford Town Museum of Modern Parts, New Jersey. The limbs of Baby were then severed from the torso.

Each limb was implanted with a small, highly sophisticated, binary-code translator which in turn was connected to small speakers attached to far ends of each limb.

The self-contained mini amplifiers were then activated, amplifying the decoded memory info-transport substances, revealing themselves as little clue haikus, small verses detailing memories of other brutal acts, well documented by the ROMbloids.

The limbs and their components were then hung upon the splayed web, slug-like prey of some unimaginable creature.

The torso, by means of its bottom-most orifice, had been placed on a small support fastened to a marble base. It was shown to varying degrees of success depending upon where one stood from behind the web but in front of the Museum door itself, acting as both signifier and guardian to the act.

It was definitely murder – but was it art?

All this was to be the lead-up to the most provocative event in the whole sequence of serial-events that had started around November of that same year, plunging me into the most portentous chaos-abyss that a quiet lone-hacker like myself could comprehend.

My name is Nathan Adler, or Detective Professor Adler in my circuit.

I’m attached to the division of Art-Crime Inc., the recently instigated corporation funded by an endowment from the Arts Protectorate of London, it being felt that the investigation of art-crimes was in itself inseparable from other forms of expression and therefore worthy of support from this significant body.

Nicolas Serota himself had deemed us, the small-fry of the division, worthy of an exhibit at last year’s Bienniale in Venice, three rooms of evidence and comparative study work which conclusively proved that the cow in Mark Tansey’s “The Innocent Eye Test” could not differentiate between Paulus Potter’s “The Young Bull” of 1647 (exactly 300 years before I was born, incidentally) and one of Monet’s grain stack paintings of the 1890’s.

The trad-itional art press deemed this extrapolation “bullshit” and removed itself to study the more formal ideas contained in Damien Hirst’s “Sheep In A Box”.

Art’s a farmyard.

Its my job to pick thru the manure heap looking for peppercorns.

Un Iper-ciclo non lineare di Dramma Gotico

Fu esattamente alle 5 e 47 antimeridiane di venerdì 31 dicembre 1999 che uno spirito multidotato al nero iniziò la dissezione della quattordicenne “Baby Grace”.

Le braccia della vittima erano ridotte a puntaspilli da 16 aghi ipodermici che le pompavano dentro 4 conservanti principali, sostanze coloranti, fluidi da trasporto di informazioni memorizzate e altra roba verde.

Col diciassettesimo ed ultimo vennero estratti tutto il sangue e i liquidi. L’area dello stomaco fu slabbrata con cura e gli intestini rimossi, sbrogliati e rilavorati a maglia così come si presentavano, in una piccola rete o tela e appesi tra i pilastri del luogo del delitto, l’ingresso principale del Museo di Parti Moderne di Oxford Town, New Jersey. Gli arti di Baby furono poi recisi dal torso.

In ogni arto venne impiantato un piccolo traduttore a codice binario, altamente sofisticato, a sua volta collegato a piccoli altoparlanti attaccati all’estremità di ogni arto.

Furono quindi attivati gli inclusi mini terminali per amplificare le sostanze da trasporto delle informazioni memorizzate decodificate, le quali si svelarono per piccoli haiku a chiave, brevi versi con ricordi dettagliati di altri atti brutali, ben documentati dalle ROMviste.

Gli arti e i loro componenti furono poi appesi all’interno della rete, come la flaccida preda di una qualche inimmaginabile creatura.

Il torso, per mezzo del suo orifizio inferiore, era stato posto su un piccolo supporto fissato a una base di marmo. Veniva mostrato con vari gradi di effetto a seconda di dove ci si trovava, da dietro la rete ma di fronte alla porta stessa del Museo, in atteggiamento ad un tempo di significante e di custode dell’atto.

Era sicuramente un delitto – ma era arte?

Tutto ciò doveva portare all’evento più provocatorio dell’intera sequenza di eventi seriali che era cominciata verso Novembre dello stesso anno, piombandomi nel più portentoso caotico abisso che un placido hacker solitario come me potesse comprendere.

Mi chiamo Nathan Adler, o Professor Detective Adler nel mio distretto.

Faccio parte della divisione Crimini Artistici Ass.,la società di recente istigazione fondata con un contributo del Protettorato delle Arti di Londra appena ci si rese conto di come l’investigazione sui crimini d’arte fosse in sé inseparabile dalle altre forme d’espressione e perciò degna di essere supportata da un ente di tale importanza.

Lo stesso Nicolas Serota ci ha giudicati, noi pesci piccoli del dipartimento, degni di un’esposizione alla Biennale di Venezia dell’anno scorso, tre stanze di testimonianze certe e studi comparati che hanno definitivamente provato come la vacca nel “Test dell’occhio innocente” di Mark Tansey non può discriminare tra il torello di Paul Potter, del 1647 (incidentalmente 300 anni giusti prima che io nascessi) e uno dei covoni dipinti da Monet nel 1890.

La critica artistica internazionale definì queste estrapolazioni “stronzate” e si rinchiuse nello studio dei concetti più formali contenuti nell’opera “Pecora in una scatola” di Damien Hirst.

L’arte è una fattoria.  

Il mio mestiere è frugare nel mucchio di letame alla ricerca di grani di pepe.

Friday, December 31, 1999, 10:15am

As in any crime, my first position is to pursue the motive-gag.
The recent spate, thru 89-99, of concept-muggings pretty much had me pulling breath for an art-murder. It was a crime whose time was now. The precedents were all there.
It had probably its beginnings in the ’70s with the Viennese castrationists and the blood-rituals of the Nitsch.
Public revulsion put the lid on that episode, but you cant keep a good ghoul down.

Spurred on by Chris Burdens having himself shot by his collaborator in a gallery, tied up in a bag, thrown on a highway and then crucified upon the top of a Volkswagen, stories circulated through the nasty-neon of NY night that a young Korean artist was the self-declared patient of wee-hours surgery in cut and run operations at not-so-secret locations in the city. If you found out about it, you could go and watch this guy having bits and pieces removed under anaesthetic. A finger-joint one night, a limb another. By the dawning of the ’80s, rumor had it that he was down to a torso and one arm.

He’d asked to be left in a cave in the Catskills, fed every so often by his acolytes. He didn’t do much after that. I guess he read a lot. Maybe wrote a whole bunch. I suppose you never can tell what an artist will do once he’s peaked. 

Round this same time, Bowie the singer remarked on a coupla goons who frequented the Berlin bars wearing full surgery regalia: caps, aprons, rubber gloves and masks. The cutting edge. Then came Damien Hirst with the Shark-Cow-Sheep thing. No humans, palatable ritual for the worldwide public. The acceptable face of gore.

Meanwhile in the US, 1994, I was in town on the night of the Athey scarifications.

Venerdì, 31 Dicembre 1999, 10:15

Per ogni delitto, la mia attenzione è inizialmente concentrata sul movente. La recente ondata, tra il 98 e il 99, di aggressioni concettuali mi aveva fatto optare con certezza per un crimine d’arte. Era un delitto il cui tempo era precisamente quello corrente. C’erano tutti i precedenti. Probabilmente aveva le sue origini negli anni ’70 con i castrazionisti viennesi e i rituali sanguinari di Nitsch.
La pubblica repulsione soffocò quell’episodio, ma non si può tenere a bada a lungo un buon demone mangia-cadaveri.

Sotto l’influsso di Chris Burden che si era fatto sparare dal suo assistente in una galleria, legare dentro una valigia, gettare su un’autostrada e infine crocifiggere sul tetto di una Volkswagen, tra i neon maligni delle notti newyorkesi circolavano storie su un giovane artista coreano che si dichiarava paziente di certa chirurgia delle ore piccole con operazioni taglia e fuggi in luoghi neanche tanto segreti della città. Se ti informavi, potevi andare a vedere ‘sto tipo che si faceva togliere un pezzo qua uno là sotto anestesia. Una falange una notte, un arto un’altra. All’inizio degli ’80 correva voce che fosse ridotto a un torso con un solo braccio.

Aveva chiesto di essere lasciato in una cava nelle Catskills, nutrito ogni tanto dai suoi accoliti. In seguito non combinò un granchè. Probabile che leggesse parecchio. Avrà scritto un mucchio di roba, forse. Non credo si possa mai dire cosa farà un artista una volta che oltrepassa il suo massimo. 

All’incirca nello stesso periodo il cantante Bowie ebbe a rimarcare un paio di tipacci che frequentavano i bar di Berlino indossando tutt’un arsenale di roba da chirurgo: cappelli, grembiuli, guanti di gomma e maschere. L’avanguardia. Poi arrivò Damien Hirst con l’affare dello Squalo-Vacca-Pecora. Niente esseri umani, rituali commestibili per il pubblico planetario. Il lato accettabile della piaga sanguinolenta. Intanto negli USA, nel 1994, io ero in città nella notte sacrificale di Athey.

 

Thursday, October 27, 1994 122 East Village, Manhattan

Ron Athey, performance artist not for the squeamish – former heroin addict-HIV positive, pushes what looks like a knitting needle repeatedly into his forehead, a crown of blood, must hurt like hell.
Stream red dribble-dribble. No screams. Face moves in pain. Carried upstage and scrubbed down in his own blood. Then water. Now dresses in nice suit and tie. Now in black T-shirt and jeans, carving, with a disposable scalpel, patterns, into the back of Darryl Carlton, a black man. Bloody blotted paper towels then hung on a washing line suspended over the heads of the audience. Blood-prints from life. An extremely limited edition. When it was first performed back in March, “Four Scenes In A Harsh Life” exploded controversy shrapnel through-out the National Endowment For the Arts. ‘We have taken every precaution with our disposal systems,” an Athey spokes-person said.
“The towels containing the blood are immediately deposited in hazardous-waste bags. Each evening, the material will be driven to a hospital for final disposal.”
Athey says he is dealing with issues of self-loathing, suffering,healing and redemption.

Giovedì, 27 Ottobre 1994, 122 East Village, Manhattan

Ron Athey, artista performer non adatto agli schizzinosi – già eroinomane e sieropositivo, si caccia ripetutamente quel che sembrerebbe un ferro da calza nella fronte, una corona di sangue, deve fare un male del diavolo. Scorre il sangue, tutto uno sgocciolio. Nessun lamento. Smorfie di dolore. Lo portano in scena e lo strofinano giù nel suo stesso sangue. Poi acqua. A volte si veste con bei completi e cravatta. A volte con T-shirt nere e jeans, e incide, con uno scalpello usa e getta, dei motivi sulla schiena di Darryl Carlton, un nero. Asciugamani di carta macchiati di sangue vengono poi sospesi a uno stenditoio sopra le teste del pubblico. Stampe a sangue dal vero. Tiratura estremamente limitata. Quando la si rappresentò la prima volta nel Marzo scorso, “Quattro Scene Di Vita Dura” fece esplodere una bomba di controversie nel Fondo Nazionale Per l’Arte. “Abbiamo preso ogni tipo di precauzione con il nostro sistema di eliminazione rifiuti”, disse un portavoce di Athey.
“Gli asciugamani col sangue vengono immediatamente depositati in borse a prova di dispersioni pericolose. Ogni sera il materiale viene portato in un ospedale per l’eliminazione definitiva”. Athey dice di trattare temi di autoripugnanza, sofferenza, guarigione e redenzione.

Friday December 31, 1999, 10:30am Museum of Modern Parts

I’m drinking up the Oxford Town. New Jersey fume. Salty and acid. Maybe I can get a handle on this thing back in Soho at the bureau. It used to be Rothko’s studio, now the playground for all us Art-Crime folk, AC’s or “the daubers” as we’re dubbed. Rothko himself, in a deep-dark-drunk one night, carefully removed his clothes, folded them up neatly, placing them upon a chair, lay upon the floor in a crucified position and after several attempts, found the soft blue pump of his wrists and checked out. He’d held the razor blades between wads of tissue paper so that he wouldn’t cut his fingers. Deep thinker. Always was.

Venerdì 31 dicembre 1999, 10:30, Museo di Parti Moderne

Mi sto sorbendo ben bene Oxford Town. Fumi del New Jersey. Salati e acidi. Forse trovo un bandolo di questa storia se torno in ufficio a Soho. Una volta era lo studio di Rothko, adesso è la base di tutti noialtri del Crimine d’Arte. I “C.A.”, o gli imbrattatele, come ci chiamano. Lo stesso Rothko, una notte che era sbronzo perso, si levò cautamente i vestiti, li ripiegò con attenzione poggiandoli su una sedia, si stese sul pavimento in posizione da crocifisso e dopo parecchi tentativi trovò la leggera pompa turchina del proprio polso e ci provò. Teneva le lamette con batuffoli di kleenex per non tagliarsi le dita. Grande mente. Sempre stato.

11:00am "Dauber'' HQ, Soho

The only names the Data bank can associate with Baby Grace are Leon Blank, Ramona A. Stone and Algeria Touchshriek. The rundowns are brief but not to the point:

Ramona A Stone:
Female. Caucasian. Mid-40s. Assertive maintenance interest-drug dealer and Tyrannical Futurist. No convictions. Contacts: Leon Blank, Baby Grace Blue, Algeria Touchshriek

Leon Blank:
Male. Mixed Race. 22 years. Outsider. Three convictions for petty theft, appropriation and plagiarism without license. Contacts: Baby Grace Blue, Algeria Touchshriek

Algeria Touchshriek:
Male. Caucasian. 78 years. Owner of small establishment on Rail Yard. Oxford Town, NJ. Deals in art-drugs and DNA prints. Fence for all apparitions of any medium. Harmless, lonely.

Small cog, no wheels. Not much to go on but R.A. Stone weighs heavy on my memory. No problem. It’ll come back. Best thing to do now is feed all relevant pieces into the Mack-Verbasiser, the Metarandom programme that re-strings real life facts as im-probable virtual-fact. I may get a lead or two from that.

11:00 Q.G. "Imbrattatele", Soho

I soli nomi che la banca dati riesce ad associare con Baby Grace sono Loen Blank, Ramona A. Stone e Algeria Touchshriek. Le risultanze sono poche ma in compenso non in argomento:

Ramona A. Stone:
Femmina. Caucasica. Anni metà-40. Attività di mantenimento consolidate: trafficante di droga e Futurista Tirannica. Nessuna reclusione. Contatti: Leon Blank, Baby Grace Blue, Algeria Touchshriek

Leon Blank:
Maschio. Razza mista. Anni 22. Outsider. Tre reclusioni per furti minimi, appropiazione e plagio senza licenza. Contatti: Baby Grace Blue, Algeria Touchshriek

Algeria Touchshriek:
Maschio. Caucasico. Anni 78. Proprietario di un piccolo stabilimento su Rail Yard. Oxford Town, NJ. Affari in droghe artistiche e impronte genetiche. Ricettatore di apparizioni su ogni media. Innocuo, solitario.

Denti piccoli, ingranaggi niente. Non molto su cui procedere, ma R.A. Stone mi ricorda qualcosa di grosso. Non c’è problema, mi verrà. Il meglio da fare adesso è infilare tutti i pezzi connessi nel Mack-Verbasiser, il programma Metarandom che ti ri-stringa la vita vissuta in improbabili fatti virtuali. Magari ne cavo un paio di dritte.

11:15am

Jesus Who. I hate typing. Anyhow, we’ve got some real interesting solvents from Mack-random. How about this! Verbasiser down-load, first block:

No convictions of assertive saints believed Caucasian way-out tyrannical evoked no images described Christian saints questions no female christian machine believed no work is caucasian assertive saints believed female described christian tyrannical questions R.A. Stone convictions martyrs and tyrannicals are evoked Female described sado-masochist questions I am suicide described the fabric machine Slashing way out saints and martyrs and thrown downstairs

 

Now the swirl begins. Now the image stack backs up and takes center stage. Ramona A. Stone, I remember this thickness, this treacly liquid thought. But wait, I’m ahead of myself.

11:15

Gesù chi. Odio lavorare sulla tastiera. Comunque, abbiamo qualche solvente di sicuro interesse uscito dal Mack-casuale. Sentite questo! Download Verbasiser, primo paragrafo:

Niente reclusioni di santi determinati credevano Caucasica uscita tirannica evocavano niente immagini descrivevano santi Cristiani domande niente femmine cristiana macchina credeva niente lavoro è caucasico determinati santi credevano femmina descrivevano cristiana tirannica domanda R.A. Stone reclusioni martiri e tirannici sono evocati femmina descriveva sado-masochistiche domande io sono suicida descriveva la macchina tessile Scudisciando uscita santi e martiri e scaraventati per le scale

Ecco che comincia il mulinello. Ecco che il mazzo di immagini arretra e si piazza a centro scena. Ramona A. Stone. Mi ricordo di questa densità, di questo pensiero come una melassa liquida. Un momento però, mi sto precorrendo.

June 15, 1977 Kreutzburg, Berlin

Its two in the morning. I can’t sleep fro the screaming of some poor ostracized Turkish immigrant screaming his guts out from over the street. His hawking shriek sounds semi-stifled like he’s got a pillow over his mouth. But the desperation comes through the spongy rubber like a knife. It cuts the breeze and bangs my eardrums.

I take a walk past the fabric machine, turn left onto a street with no name. The caucasian suicide center, naked and grimy, silhouetted by fungus yellow street lamps female slashing way-out saints for a dollar a time thrown downstairs if you can’t take any more.
Pure joy of retreat into death, led by the shepherdess. Anti mixed-race posters pasted upon their altar of pop-death icons party people. A zero with no name looks dull-eyed to Ms. Stone, the drone that says “in the future, everything was up to itself”. Yea. I remember Ramona. She set herself up as the no-future priestess of the Caucasian Suicide Temple, vomiting out her doctrine of death-as-eternal-party into the empty vessels of Berlin youth. The top floor rooms were the gateways to giving up to the holy ghost. She must have overseen more than 30 or 40 check-outs before the local squad twigged what was going down.

15 giugno 77 Kreutzberg, Berlino

Sono le due del mattino. Non riesco a dormire per via delle urla di un povero ostracizzato d’immigrante turco che si strilla via le budella da oltre la strada. Il suo grido di richiamo suona mezzo soffocato come avesse un cuscino contro la bocca. Ma la disperazione attraversa la gomma spugnosa come un coltello. Taglia il vento e mi percuote i timpani. 

Faccio due passi fino alle macchine tessili, poi a sinistra in una strada senza nome. Il centro caucasico di suicidio, spoglio e lercio, siluettato da lampioni gialli a fungo femmina che sferza santi in uscita per un dollaro alla volta scaraventato per le scale quando non ne puoi più. La pura gioia del ripiego nella morte, sotto la guida della pastora. Manifesti anti razza mista piazzati sul loro altare di festaioli dalle immagini pop-mortali. Uno zero senza nome ha lo sguardo ritardato per la signora Stone, entità oziosa che dice “nel futuro ogni cosa concerneva se stessa”. Sì. Mi ricordo di Ramona. Pose sé stessa come sacerdotessa senza futuro del Tempio Caucasico del Suicidio, vomitando la sua dottrina della morte-come-festino-eterno nei recipienti vuoti della gioventù di Berlino. Le stanze dell’ultimo piano erano i cancelli d’uscita verso il sacrificio al santo spirito. Deve aver sovrainteso a 30 o 40 check-up prima che la squadra locale intuisse quel che succedeva

October 28, 1994

New Yorker magazine, advance copy, celebrating fashion. It’s a first of a kind since Tina Brown took over as editor. One look is all it took.

It took the look and wrote a new book on what sophi-staplites would take and bake. Guy Bourdin featured heavily in this new eDISHion.

Since the advent of AIDS and the new morality, and, of course his death, his dark sexy fatal style had fallen out of Vogue.

An uncompromising photographer, he had found a twisty avenue through desire and death. A white female leg sticking gloomily out of a bath of black liquid enamel.

Two glued up babes covered in tiny pearls. The glue prevented their skins from breath-ing and they pass out.

“Oh it would be beautiful,” he is to have said, “to photograph them dead in bed.” He was a French Guy. He had known Man Ray. Loved Lewis Carroll. His first gig was doing hats for Vogue. He’d place dead flies or bees on the faces of the models, or, female head wears hat crushed beneath three skinned calves heads, tongues lolling.

What was this? Fine Arts? The surrealists might even think his work passé.

Well, it was the ’50s, thats what it was. The tight-collar ’50s seen through unspeakable hostility.

He wanted but he couldn’t paint. So he threw globs of revengeful hatred at his nubile subjects. He would systematically pull the phone cord out of the wall. He was never to be disturbed.

Disturbed. Never.

Everything and everyone died around him. One shoot focusing upon a woman lying in bed was said to be a reconstruction of his estranged wife’s death. Another picture has a woman in a phone booth making some frantic call.

Her hand is pressed whitely against the glass. Behind her and outside are two female bodies partially covered by the autumn leaves. His dream, so he told friends, was to do shoots in the morgue, with the stiffs as mannequins. I don’t know. I just read this stuff. Now his spirit was being resurrected.

We’re mystified by blood. It’s our enemy now.

We don’t understand it. Can’t live with it.

Can’t, well… y’know?

28 ottobre 1994

Rivista “New Yorker”, copia in anteprima, celebrativa della moda. È la prima del suo genere da quando Tina Brown si è installata come direttore. Tutto quel che serviva era uno sguardo.

Dello sguardo si servì e scrisse un libro nuovo su quel che i sofistichevoli si sarebbero cotti e mangiati. Guy Bordin figurava imponentemente in questa nuova CONFedizione. Dopo la comparsa dell’AIDS con la nuova moralità e, naturalmente, dopo la sua morte, il suo stile di cupo fatale sex appeal era stato estromesso da Vogue. 

Fotografo senza compromessi, aveva scoperto un tortuoso viale attraverso il desiderio e la morte. Una gamba femminile bianca che emerge languida da un bagno di smalto liquido e nero.

Due bambini incollati assieme ricoperti di perline. La colla impedì alla loro pelle di respirare e morirono. 

“Oh che bello sarebbe”, pare abbia detto “fotografarli morti nel letto”. Era francese. Aveva conosciuto Man Ray. Amato Lewis Carroll. Il suo debutto era stato fare i capelli per Vogue. Metteva mosche o api morte sulle facce delle modelle, oppure: una testa femminile vestiva il cappello schiacciata in mezzo a tre teste del tutto calve, le lingue di fuori.

Questo cos’era? Belle Arti? I surrealisti avrebbero potuto considerare il suo lavoro addirittura passé. 

Beh, erano gli anni 50, ecco cos’erano. Gli azzimati 50 visti con indicibile ostilità. 

Voleva dipingere ma non ne era capace. Così tirava palle di odio e vendetta contro i suoi soggetti nubili. Strappava sistematicamente il filo del telefono via dal muro. Non doveva mai essere disturbato.

Disturbato. Mai. 

Tutto e tutti gli morirono attorno. Uno scatto focalizzato su una donna sdraiata a letto fu definito come la ricostruzione della morte di sua moglie dopo la separazione. Un’altra foto è di una donna in una cabina telefonica durante una conversazione frenetica. 

Ha la mano schiacciata contro il vetro fino a diventar bianca. Dietro e a fianco di lei ci sono due corpi femminili parzialmente coperti di foglie autunnali. Il suo sogno, così disse agli amici, era far foto alla morgue, coi cadaveri come mannequins. Non so. È solo roba che sto leggendo. Ora il suo spirito veniva fatto risorgere. 

Siamo mistificati dal sangue. È il nostro nemico adesso.

Non lo comprendiamo. Non possiamo viverci assieme.

E non possiamo, beh…capito?

Friday, December 31, 1999, 11:30am

After surgery and investment in a bullet-proof mask, Ramona turned up in London, Canada as owner of a string of body-parts jewellery stores.

Lamb penis necklaces, goat-scrotum purses, nipple earrings, that sort of thing.

The word on the street, however, suggested that it was not in the best of interests to become one of her clients as occasionally, a customer would step into her shop and not come out again.

The whistle blew after a much-loved and highly respected celebrity, known for being known, failed to show for a gallery-hanging of her mirrors.

Other celebrities, equally known for being known, some only to each other, thought it the most profound exhibit in years and couldn’t take their eyes off the works.

All the pieces sold within an hour, many for record prices.

When the critic for Tate magazine asked for an interview with the celebrity-artist, the gallery owner recalled that he hadn’t seen her since earlier that day.

She’d mentioned that she would be going shopping for a diamond-encrusted umbilical cord as a celebratory thing to announce her pregnancy.

She would be back in an hour. Just a quick stop at the “Gallstone”. 1986.

That pregnancy would have produced a being that would be around 14 years of age.

If it was still alive.
To be continued…

Venerdì 31 dicembre 1999, 11:30

Dopo un intervento chirurgico e un investimento in una maschera antiproiettile, Ramona comparve a Londra, Canada, come proprietaria di una catena di negozi di parti-corporee-gioiello.

Girocollo di pene di agnello, borsette di scroto di capra, capezzoli-orecchini, quel tipo di roba.

Le voci in giro, comunque, dicevano che non era l’affare migliore diventare suoi clienti, dato che occasionalmente il compratore poteva entrare nella sua bottega e non uscirne mai più.

L’allarme suonò dopo che un’amatissima e rispettatissima celebrità, conosciuta per essere conosciuta, mancò di comparire ad una mostra dove lei aveva esposto dei suoi specchi.

Altre celebrità, parimenti conosciute per essere conosciute, alcune solo alla propria vicina, la giudicarono la più profonda esposizione degli ultimi anni e non riuscivano più a staccare gli occhi dalle opere. 

Tutti i pezzi furono venduti in un’ora, molti a prezzi record.

Quando il critico della rivista “Tate” richiese un’intervista con la celebre artista. Il proprietario della galleria si ricordò di non averla più vista da qualche ora prima.

Aveva detto di voler andarsi a comprare un cordone ombelicale incrostato di diamanti come oggetto celebrativo per annunciare la propria gravidanza.

Sarebbe tornata in un’ora. Solo un saltino da “Calcoli Biliari”. 1986.

La gravidanza avrebbe prodotto un essere che sarebbe attorno ai 14 anni di età.

Se fosse ancora vivo.
Continua..

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Marco

Complimenti per l’impegnativo lavoro