The Next Day (2013) | Discografia

THE NEXT DAY (2013)

Tutti i brani sono composti da David Bowie ad eccezione di Boss of Me scritto da David Bowie e Gerry Leonard, e How Does the Grass Grow? scritto da David Bowie e Jerry Lordan.

Data di Uscita

8 Marzo 2013

Registrazione

The Magic Shop (New York, USA) e Human Worldwide Studios (New York, USA) - Maggio 2011/Febbraio 2013

Produzione

David Bowie e Tony Visconti

Recensione

La celebre copertina di “Heroes”, album che ha rappresentato, a detta di molti, la vetta della fase artisticamente più alta e significativa del suo autore, sfregiata da un riquadro bianco, su cui campeggia, con un anonimo carattere di colore nero, il titolo The Next Day. E’ con questa immagine fortemente provocatoria che venne presentato nel 2013, dopo dieci anni di silenzio discografico, il nuovo album di David Bowie.

Dall’ultimo suo lavoro in studio, lo scialbo Reality, e dopo aver dovuto interrompere la trionfale tournee del 2003-2004 a causa di un grave problema cardiaco, David Bowie si era progressivamente allontanato dalle scene. Si era chiuso per cinque anni in un silenzio pressoché assoluto che aveva fatto pensare ad un ritiro silenzioso nel comodo anonimato della vita familiare.

Così non era. Quell’immagine di copertina, dall’evidente valore simbolico, era un affermazione di principio ed il segno tangibile che il suo autore aveva ancora molto da dire al suo pubblico e che non intendeva affatto riposare sugli allori di un passato artistico glorioso.

Preceduto dalla pubblicazione a sorpresa del singolo “Where Are We Now?” nel giorno del 66mo compleanno di Bowie,  The Next Day ha colto tutti alla sprovvista. Nulla era trapelato circa il fatto che il suo autore fosse tornato in studio. 

Un colpo mediatico di tale potenza, in un’epoca in cui il concetto di privacy è ormai una chimera, da far gridare ancora una volta alla genialità dell’artista, in grado di far parlare di sé sottraendosi alle consuete logiche promozionali.

Realizzato a fasi alterne nell’arco di due anni, The Next Day è stato registrato nel riserbo più assoluto in un piccolo studio newyorkese, The Magic Shop. Ancora una volta Bowie ha voluto accanto a sé alla produzione l’amico e collaboratore Tony Visconti, che conosce come pochi l’arte di valorizzare le sfumature e la personalità della voce del cantante. Oltre a lui, ha radunato alcuni musicisti che sono stati al suo fianco per diversi anni, come Gail Ann Dorsey al basso, David Torn e Gerry Leonard alle chitarre, Zachary Alford alla batteria, senza rinunciare ad alcuni interventi di classe, come quello di Tony Levin al basso e di Steve Elson al sax baritono.

A nessuno invece è sfuggita l’assenza di Mike Garson, che col suo pianoforte aveva caratterizzato il suono dei suoi ultimi album.

Bowie si è presentato in studio con diversi brani già abbozzati, e di demo realizzati insieme a Tony Visconti, Gerry Leonard ed il batterista Sterling Campbell alcuni mesi prima dell’inizio delle sessioni vere e proprie. La spinta creativa, dopo anni di attesa, lo ha portato a realizzare un gruppo di brani di cui solo quattordici hanno composto la tracklist definitiva dell’album.

The Next Day è un album ricco, vario, vitale. Riesce ad essere inconfondibilmente un album di Bowie, ma anche qualcosa di nuovo e di diverso rispetto al suo percorso del passato. Si passa, con incredibile disinvoltura, dalle convulsioni di tastiere e chitarre new wave della folgorante title track al sax malato e velenoso da equivoco club notturno di “Dirty Boys“; dalla velocissima ritmica quasi-jungle di “If You Can See Me” all’ingannevole atmosfera nostalgica di “Valentines Day“; dalle inquietanti ed algide tastiere di “Love Is Lost” al folle cross-over di “How does the grass grow?” in cui Bowie, in un irresistibile ritornello riesce a citare addirittura gli Shadows di Apache. I momenti più pacati e riflessivi sono lasciati alla già nota “Where Are We Now?” , vera perla dell’album, con la sua struttura apparentemente semplice e la delicata malinconia della voce di Bowie, nonché alla struggente “You Feel So Lonely You Could Die”, che si conclude, in un nostalgico ammiccamento ai suoi fan di vecchia data,  con una ritmica che cita la “Five Years” dell’epoca di Ziggy Stardust.

L’album non è esente da qualche punto debole, soprattutto nella sequenza centrale dei brani, caratterizzati da qualche lungaggine inutile e da un paio di riempitivi che si potevano evitare.

Tuttavia, nel complesso si tratta di un viaggio musicale quasi sempre riuscito ed avvincente nelle molteplici sfumature della creatività del suo autore. Un viaggio che si chiude in maniera accigliata ed enigmatica con un brano, “Heat“, di fortissima suggestione, in cui Bowie, quasi stesse ripensando a tutto il suo passato, ammette “Non so chi sono. Io sono il veggente e sono il bugiardo”.
La voce del duca bianco è ancora affascinante: si inerpica su tonalità elevate senza particolari problemi, ed ha compensato una minore potenza con una espressività ancor più ombrosa e graffiante.

I suoi testi, mai banali, assumono qui tratti oscuri ed inquietanti: dalle immagini dure e taglienti di un tiranno linciato della title track, alle riflessioni di un adolescente che spara ai suoi compagni di classe in “Valentine’s Day“; dalle sequenze di solitudine e abbandono di “Love is lost” alle toccanti e mai retoriche metafore sulla guerra di “How does the grass grow“. Le liriche di The Next Day sono dense, riflessive, cariche di immagini poetiche e di forte impatto: riflessioni di un uomo maturo che legge  le ansie di un presente colmo di incognite con la lente degli accadimenti del passato.
The Next Day non è un album che brilla per spinta innovativa o per una particolare arditezza sotto il profilo musicale. Le sue sonorità sembrano ispirate dall’esigenza di riallacciare un discorso interrotto col suo pubblico.

Tuttavia, oltre ad essere un lavoro che si pone nettamente al di sopra dei suoi più vicini predecessori, The Next Day è anche l’espressione evidente di un rinato desiderio di fare musica, e di farla nel modo in cui Bowie ci aveva abituati: da grande artista.

La qual cosa sarà ancora più chiara nei tre anni successivi, quando Bowie decise di navigare in mare aperto ed affrontare nuovi generi ed approcci musicali, che lo porteranno alle vette raggiunte, dapprima con “Sue (Or in a season of crime)” e poi col suo ultimo, grande capolavoro: Blackstar.

 

di Walbianco

Musicisti

David Bowie
(voce; chitarra su traccia 1; chitarra acustica su tracce 3, 13, 14; arrangiamento archi su tracce 1 e 3; tastiere su tracce 4, 5, 7, 10, 11)

Tony Visconti
(arrangiamento archi tracce 1, 3, 13, 14, 15; chitarra su tracce 2, 13, 15, 17); archi su traccia 5; basso su tracce 6, 12, 15)

Gerry Leonard
(chitarra su tracce 1-5, 7-14)

David Torn
(chitarra su tracce 1, 3, 7, 10, 11, 13, 14, 15, 17)

Earl Slick
(chitarra su tracce 2, 6 e 12)

Gail Ann Dorsey
(basso su tracce 1, 3, 4, 10, 11, 13, 14; cori)

Tony Levin
(basso su tracce 2, 5, 7, 8 e 9)

Zachary Alford
(batteria su tracce 1-5, 7-11, 13-14; percussioni su traccia 7)

Sterling Campbell
(batteria su tracce 6 e 12, tamburino su traccia 12)

Henry Hey
(pianoforte su tracce 5 e 13)

Steve Elson
(sax baritono, clarinetto)

Maxim Moston, Antoine Silverman, Hiroko Taguchi, Anja Wood
(archi)

Janice Pendarvis
(cori)

Crediti

Jonathan Barnbrook
(cover design)

Jimmy King
(fotografia)

Sukita
(foto di Bowie su “Heroes”)

Mario J. McNulty
(ingegnere)

Kabir Hermon
(assistente ingegnere)

Brian Thorn
(assistente ingegnere)

Dave McNair
(mastering)

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